Mattia Binotto, tre anni da team principal con vista su un 2022 decisivo

Mattia Binotto, tre anni da team principal con vista su un 2022 decisivo© Getty Images

Tre anni fa la Ferrari comunicava la sostituzione di Maurizio Arrivabene nel ruolo di team principal con Mattia Binotto, che oggi si trova di fronte, dopo tre stagioni al di sotto delle attese, ad un'annata che segnerà il suo operato

07.01.2022 ( Aggiornata il 07.01.2022 17:04 )

Essere Mattia Binotto, tre anni dopo. Tanti ne sono passati da quando è stato nominato team principal della Ferrari, all'inizio di un percorso che in tanti si auguravano, lui in primis, essere meno accidentato, con qualche sorriso in più e qualche preoccupazione in meno. La storia la sanno tutti, inutile inferire. Ma essere Mattia Binotto oggi, significa essere sospeso a metà, su un filo che divide due mondi opposti, alla vigilia di un anno decisivo, come sa benissimo anche il diretto interessato. Da un lato la speranza di centrare obiettivi inseguiti e bramati da tre stagioni, dall'altra il vuoto che si spalancherebbe in caso di ulteriore fallimento.

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Mattia come post Arrivabene

Tre anni dopo il bilancio è insufficiente e Mattia lo sa. Aveva preso in mano una Ferrari che vincente non era, anche se nelle precedenti due stagioni si era tolta lo sfizio di sfidare la squadra più vittoriosa della storia, la Mercedes dell'Ottovolante (ovvero degli otto titoli Costruttori consecutivi), dandole pure qualche grattacapo a seconda dei momenti. Ma non basta quando ti chiami Ferrari, non può bastare. E c'era stato quindi spazio per i malumori interni, ingigantiti dalla scomparsa di Sergio Marchionne nell'estate del 2018, a quanto pare l'unico in grado di tenere insieme un mostro a due teste, quelle di Maurizio Arrivabene, allora team principal, e dello stesso Mattia Binotto, allora direttore tecnico; senza Marchionne tenerle insieme è risultato a quanto pare impossibile, da lì un braccio di ferro che ha portato John Elkann ad una decisione forte: via Maurizio, Mattia al suo posto. Era il 7 gennaio 2019. In un ruolo da oneri e onori, asfissiante nelle aspettative: con speranze ad oggi deluse dopo un triennio da appena tre vittorie in gara e, soprattutto, caratterizzato da due anni di un digiuno ancora ininterrotto.

Tre anni e tante decisioni difficili

Mattia Binotto in questi tre anni non ha raccolto solo sconfitte, ma ha anche dovuto fare scelte forti. Dire addio a Sebastian Vettel, ad esempio, l'uomo a cui era stato rinfacciato di tutto e di più da buona parte dei media, accusato di giocare al rialzo nelle trattative; poi invece alla prima conferenza da separato in casa Seb disse "in realtà neanche me l'hanno fatta, un'offerta...", ad indicare una direzione precisa da parte di Binotto e dei suoi uomini, quella di cambiare volto ad una coppia di piloti che ha accolto Carlos Sainz accanto a Charles Leclerc. Lo stesso Binotto che ha dovuto accettare, a malincuore ma con buonsenso, la decisione di posticipare al 2022 le nuove regole, anche se per il Cavallino a quel punto significava sacrificare non una ma bensì due stagioni, dato che pochi giorni di test erano stati sufficienti a capire che con la SF1000 sogni di gloria era meglio non averne. Così come con la SF90, la monoposto a metà tra Arrivabene e Binotto; così come con la SF21, l'unica del triennio forse in linea con le aspettative (ben più basse delle precedenti) della vigilia. Le ultime due stagioni sono state figlie di un accordo segreto tra Maranello e Federazione che ancora oggi è pieno d'ombre e fa discutere: essere Mattia Binotto non è stato facile neanche in quel caso, tra lui a difendere un motore, la power unit 2019, mai trovata fuori dalle norme nelle verifiche ufficiali, ma evidentemente con qualche soluzione che dall'anno successivo non è stato più possibile replicare.

Un pizzico di autoironia

Della serie "Hai voluto la bicicletta? Adesso pedala", Mattia Binotto ha desiderato un ruolo che attualmente, o meglio già da un bel po', gli ha mostrato l'altra faccia della medaglia. Ovvero che al potere decisionale corrisponde una grande responsabilità, il che significa essere il primo a doverci mettere la faccia quando le cose non vanno bene. Binotto questo ha saputo accettarlo, ha saputo pure sorridere di fronte alla satira di Maurizio Crozza, mostrando un'autoironia certamente più apprezzabile della permalosità tipica di tanti altri personaggi. E' stato un modo di sdrammatizzare una situazione che drammatica lo è sembrata a lunghi tratti in queste tre stagioni al timone del Cavallino. E che precipiterebbe ancora in caso di lacune evidenti a Sakhir 2022.

2022, la resa dei conti

Ed il punto è proprio questo. L'operato di Mattia Binotto, deficitario sin qui, lo si potrà valutare in maniera globale e definitiva solo a seconda della stagione 2022. L'anno del tutto o niente, l'anno senza possibilità di replica. Se andrà bene, Binotto si potrà togliere qualche soddisfazione e, probabilmente, qualche sassolino dalla scarpa. Se invece andrà male, si dirà che è stato sbagliato concedere tutto quel tempo ad una squadra che già aveva mostrato segnali poco ottimistici. Sembra già di vederli scritti, quei titoli di giornale. Ma tempo al tempo: perché prima che i cicli si aprano, ci sta chiedere un po' di pazienza. La Ferrari lo ha fatto, spostando il mirino sul 2022 già due anni prima. Senza nasconderlo, senza girarci intorno, innalzando il livello delle aspettative sulla prossima macchina in una maniera quasi autolesionista: si è messa pressione da sola, ed a cascata la pressione è arrivata da tutti quanti hanno scelto di seguire la versione del "faremo i conti nel 2022". E adesso ci siamo, alla resa dei conti non manca molto, qualche mese ancora. Non importa fare doppietta alla prima gara, basta dimostrare di aver fatto i compiti a casa. La Ferrari del 2022 nasce sotto questa stella, lo sanno a Maranello e lo sa anche Mattia Binotto, di fronte ad un bivio esistenziale. La fiducia gli è stata concessa, adesso è tempo di ripagarla. Lui lo vuole, per rivivere quegli anni d'oro che ha già vissuto al fianco di Michael Schumacher, anche se in un ruolo diverso. Non si tratta più di capire, adesso si tratta di vincere. O perdere.

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